Una finestra sul mondo (senza cornice)


Molto più della pittura, la fotografia ha la natura della “finestra”. Ora, deve essere chiaro, la finestra è propriamente il cuore stesso della rappresentazione visiva: per rappresentare infatti noi incorniciamo un pezzo di realtà, lo strappiamo dal magma in cui è preso circoscrivendolo, lo separiamo dal tessuto di relazioni su cui insiste. Ogni quadro è una finestra sul mondo, anche se questa sua natura è spesso coperta dal simbolismo, dall’astrattismo, da codici non immediati, che hanno appunto lo scopo di occultare la natura di finestra dell’opera d’arte. Fingendo di non avere il mondo per oggetto, l’arte contemporanea può fingere appunto di non esser quella finestra che invece è la sua più intima condizione. Una condizione che al fondo persiste sempre, ed è sempre rintracciabile.

Nel caso della fotografia, questa natura invece è esplicita, non è occultabile, è contenuta necessariamente nella sua qualità di traccia (e insieme di icona, cioè di rappresentazione somigliante del vero. L’opera fotografica è appunto quella che esibisce la propria natura di finestra sul mondo, quella che non può nasconderla. La fotografia non può uscire dalla cornice (che non ha).

Oltre l'attimo, lo stato del mondo


Ma davvero la fotografia deve cogliere “l’attimo decisivo” come sostiene Cartier-Bresson? Proviamo un momento a riflettere: cos’è veramente l’attimo decisivo? Secondo me l’ha chiarito benissimo Willy Ronis, con una formula molto efficace: “immediatamente prima dello scatto è troppo presto, subito dopo è troppo tardi”. C’è soltanto quell’attimo, solo quello e nessun altro, allo stesso modo nel pianoforte, accanto a ogni nota giusta ci sono due note sbagliate. Ma se questo ci appare credibile se pensiamo a tutta la fotografia umanista francese della quale rappresenta la formula, certo essa appare invece piuttosto anacronistica di fronte a tanta grande fotografia di paesaggio o di architettura, nella quale la fotografia non è tanto impegnata nel fissare un attimo irripetibile ma cerca piuttosto di aprire una finestra sul mondo attraverso la quale il mondo possa offrire di sé un volto non banale, non scontato, non già visto. Allora il soggetto non è più tanto l’attimo irripetibile ma il mutevole stato del mondo che ho di fronte, e, meglio ancora, lo sguardo attraverso il quale riesco a cogliere quello stato e a trasformarlo in figura. La fotografia coglie stati del mondo, entro i quali è inesorabilmente coinvolto lo stesso fotografo.

Pensare fotograficamente


Dice benissimo Willy Ronis che “l’apparecchio non pensa, è il cervello del fotografo a pensare”; potremmo parafrasare e aggiungere che in fondo la fotografia non mente mai, ma il fotografo sì. Perché è in lui l’obiettivo, è il suo sguardo che costruisce l’immagine in esso si realizza tanto il vero quanto il falso.
Di fronte a questa possibilità la fotografia resta dunque aperta e disponibile: essa può rappresentare il mondo com’è oppure falsificarlo in funzione del modo in cui il fotografo intende realizzare il suo sguardo, del modo in cui intende rapportarsi al suo pubblico, a noi osservatori, per testimoniare, per ingannare, per convincere…
Ma restiamo nella prima possibilità, ovvero che la fotografia sia fedele testimone del mondo, e dunque che obbedisca a una intenzione veritativa del fotografo, alla sua sincerità, c’è un limite che essa incontra e nel quale si gioca tutto il suo valore, tutta la sua necessità, o che viceversa rivela il suo essere banale e superficiale. Lo coglie già Franco Vaccari, quando afferma che “la fotografia è realmente tale se ci aiuta a scoprire quello che non sappiamo invece che a confermarci in quello che già conosciamo”.
Perché se la foto ci mette di fronte a un frammento di mondo che non aggiunge nulla a quanto già sappiamo di esso, allora è una foto debole e poco significativa. Se invece essa, di fronte al mondo che pur conosciamo benissimo, riesce ad aprire uno squarcio inedito, un tratto impensato, un frammento sconosciuto,  una forma, un ritmo, un disegno. Se essa, cioè, approfondisce e sviluppa la nostra conoscenza del mondo allora possiamo ben dire che la fotografia ha compiuto la sua missione più alta. Ma perché ciò accada lo strumento  meccanico e la mente del fotografo devono operare in perfetta sintonia.