Un racconto di Champfleury: La leggenda del dagherrotipo

 


Champfleury (1821-1889), grande esponente del realismo letterario si diverte in questo racconto pochade a ironizzare sulla fotografia delle origini. L’intento è ovviamente quello di mostrare la superiorità della scrittura sulla fotografia, industria da barbieri che non sanno esattamente quello che fanno, trappola per borghesi che coltivano soltanto il proprio narcisismo. Ma involontariamente l’autore mostra come l’accostamento letteratura realista / fotografia sia tanto scomodo quanto inevitabile. Sottile il gioco di allusioni intorno al fatto che la fotografia cancella l’essere vivente, riducendolo alla sua sola voce. Ma in fondo anche la scrittura altro non è che una voce senza corpo.  

 

 “Leggenda del dagherrotipo” (1863)

 Il primo dagherrotipista che si stabilì a Parigi era il ragazzo di un barbiere del Midi, di nome Carcassonne che, del suo vecchio mestiere, aveva mantenuto solo i capelli lunghi, dei polsini lunghi e un cravattino vaporoso che erano la sua insegna; infatti, egli prese delle arie da uomo ispirato e un po’ fatale nei numerosi ritratti di sé che si vedevano sul suo portone.

Gli uomini che passavano davanti al suo portone dicevano: - Come vorrei assomigliare a Carcassonne! Le  gentildonne esclamavano: - Che bell’uomo è il signor Carcassonne!

Infine, si parlava così tanto di Carcassonne nel quartiere, della sua bellezza e del suo talento di

dagherrotipista, che un provinciale appena arrivato a Parigi, il signor Balandard, si decise a fare una sorpresa alla moglie, portandole in dono, al suo ritorno a Chaumont, un suo ritratto eseguito con questo procedimento ancora così nuovo.

E così una mattina il provinciale si arrampica su fino allo studio di Carcassonne che, dopo aver dato una sistematina al suo cravattino e ravviato i suoi capelli al vento, annuncia:

- Le faremo, signore, un ritratto sublime. Non la riconosceranno.

- Ma perché allora fare un dagherrotipo, esclama il signor Balandard, se non mi riconosceranno?

- Ma è un modo di dire, caro signore ... per favore si sieda e non si muova ... Le darò una pettinata, se mi posso permettere... non si muova ... aspetti, prendo le forbici ... crac, crac, crac, il gioco è fatto. Si guardi in questo specchio, senza agitarsi, per favore ... Sembra più giovane di dieci anni... Un momento, che le metto un velo di pomata… Non si muova.

- E il ritratto? Esclama spazientito il signor Balandard.

- Subito. Ancora un po’ di cipria per toglierle dal viso la stanchezza del viaggio, e non si muova!

- Perché, signor Carcassonne, non mi permette di muovermi?

- Per abituarla fin d'ora a sopportare l’immobilità richiesta dall'operazione ... Un po’ di pazienza, cominciamo. Non si muova!

In quel momento Carcassonne sistemò di fronte al signor Balandard un enorme apparecchio per il dagherrotipo che sembrava la canna di un cannone puntato sul modello.

- Che le palpebre rimangano immobili! Attenzione! Non si muova!

- Veramente questa posizione è insopportabile, pensava tra sé il signor Balandard mentre teneva aperti gli occhi enormi.

- Fermo con le mani! Più avanti con il petto! ... Non sposti il resto del corpo, diceva il dagherrotipista con la testa affondata nella sua macchina.

Esce fuori dall’apparecchio e si avvicina al signor Balandard.

- Ecco questa ciocca di capelli produce un pessimo effetto... avrei dovuto lisciarla con il ferro caldo. Su, comincio, non sia impaziente. Non si muova più! Uno, due, tre! Ecco! È fatta!

-Finalmente! grida il signor Balandard alzandosi, felice di sfuggire a questa dura immobilità e di contemplare il suo volto riprodotto dal sole.

Ma la lastra, più nera di un negro, non faceva distinguere né la bocca, né il naso, né gli occhi, né le orecchie.

-Si è mosso! esclama il signor Carcassonne. Dobbiamo ricominciare ... Su, ai nostri posti e non muoviamoci più.

Il signor Balandard si risiede sulla sua sedia e per tre volte lo stesso quadrato nero irritante appare sulla lastra.

- Ma allora lei è il moto perpetuo, signore? diceva il dagherrotipista. Eppure è così facile rimanere fermi!

La verità è che l’ex ragazzo del parrucchiere, assolutamente ignorante nell'arte del dagherrotipo, usava a casaccio sostanze chimiche a lui sconosciute, e il sole si faceva attendere per dare una mano.

Durante la quarta prova del ritratto, il signor Balandard sentì uno strano prurito al naso e gli ci volle un enorme controllo su di sé per non grattarsi.

- Ah! ah! gridò Carcassonne, ecco un tentativo migliore.

E trionfante, mostrò al suo cliente un naso che spiccava in mezzo alla lastra nera.

-Non ha mosso il naso; vede come è venuto bene. Su, un po' di coraggio e ci riusciremo.

Al sesto ritratto, il signor Balandard si alzò in piedi grattandosi le orecchie, come se fosse stato assediato da un esercito di pulci.

- E' strano, diceva grattandosi le orecchie; mi sembrano più piccole.

- Bravo! esclamava Carcassonne, bravo!

Questa volta, le orecchie del signor Balandard si delineavano sulla lastra in tutta la loro banalità.

- Va tutto bene, disse il dagherrotipista, al primo colpo l'immagine verrà per intero. Non muoviamoci più!

A quel punto, il signor Balandard si sentiva come se avesse avuto una legione di formiche tra i capelli.

-Non ci badi, disse Carcassonne; è l'effetto della mia pomata che si infiltra nei tessuti capillari e sveglia l'attività della radice del capello.

Dopo questi formicolii, il parrucchino è apparso sulla lastra in tutta la sua maestosità.

Al nono tentativo, uno strano pizzicore tormentò l'occhio destro del signor Balandard, e gli fece chiudere l'occhio sinistro.

E infatti l'occhio destro solo apparve sulla lastra.

- Oh Signore! che tormenti! Diceva tra sé il signor Balandard col cuore stretto da una certa emozione; che cosa significavano i pruriti, i bruciori, i formicolii a seguito dei quali il pover’uomo si sentiva come se fosse rimpicciolito? Non era forse pericoloso esporsi a una misteriosa macchina che con freddezza, con il suo grande occhio scuro, guardava l'uomo seduto? E che lugubre abitudine quella del dagherrotipista che in continuazione si copriva la testa con un grande panno nero!

Se avesse mostrato un po' di fermezza, il signor Balandard se ne sarebbe andato dallo studio; ma

da quando era seduto su una sedia di fronte allo strumento, la sua volontà era scemata e lui non poteva resistere a Carcassonne che per venti volte lo costringeva a sedersi e venti volte ancora ricominciava il ritratto con il suo grido eterno: Restiamo immobili.

Tuttavia Carcassonne, a forza di esperienza, cominciava a farsi la mano, ed era riuscito a ottenere una sorta di ritratto molto confuso, una meraviglia però, rispetto alle tenebre iniziali.

È vero che per arrivare a questi scarsi risultati, il dagherrotipista spalmava i suoi prodotti chimici con estrema violenza sulle lastre.

Già l'incontro durava da tre ore, e il signor Balandard si sentiva indebolito, aveva solo la forza di asciugarsi la fronte che gocciolava, quando Carcassonne lanciò un grido di trionfo.

-Infine, ecco un ritratto ammirevole, quello più somigliante!

A questo entusiasmo, una voce alterata rispose:

- Mi faccia vedere!

- Eccolo signor Balandard, ma lei dov’è? chiese il dagherrotipista.

- Qui.

- Dove?

- Sulla sedia.

In effetti, il suono della voce partiva dalla sedia su cui era seduto fino a poc’anzi il modello; ma il provinciale non si vedeva più.

- Signor Balandard! gridò il dagherrotipista.

- Signor Carcassonne!

- Su, signor Balandard, non facciamo scherzi ... Esca dal suo nascondiglio.

- Non mi vede, signor Carcassonne? diceva la voce.

Infine, cercando in ogni angolo del suo studio, la verità fatale apparve solamente al dagherrotipista ignorante che aveva impiegato degli acidi così violenti che avevano divorato il volto, il corpo e i vestiti dello sfortunato borghese di Chaumont.

Cinquanta prove successive annientarono gradualmente la persona del modello. Del signor

Balandard restava solo una voce!

Spaventato dall'eliminazione di uno stimabile cittadino, crimine punito dal codice, Carcassonne abbandonò il pericoloso mestiere di dagherrotipista per riprendere la sua vecchia professione di aiutante del barbiere; ma costantemente, come un supplizio eterno, l'ombra del signor Balandard lo segue dappertutto e lo prega incessantemente di restituirgli la sua forma originale. E per calmare quelle giuste recriminazioni, Carcassonne ottiene un momento di tranquillità solo grazie a una parola che le persone che vanno a farsi radere attribuiscono a un eccesso di cautela:  

- Restiamo immobili!