Se partiamo dal presupposto che
quello del fotografo è prima di tutto un gesto intenzionale allora è possibile
elaborare una vera e propria etica dell’obiettivo fotografico, proprio in
funzione del tipo di ottica con la quale il fotografo tenta di raccogliere
l’immagine della natura.
L’obiettivo standard, il
cinquanta millimetri, è niente altro che lo sguardo comune, la sua apertura
corrisponde a quella del nostro vedere, non a caso lo si suggerisce per la street photography che ha la pretesa di
essere immediata e occasionale, direttamente raccolta dall’impressione.
Il grandangolo, invece non
sceglie e non seleziona, ma abbraccia, abbraccia tutto senza particolare
distinzione, e dunque si presta a dare del soggetto una sensazione caotica,
dispersa, diffusa, e di creare l’effetto del brulichio, della pluralità.
Scegliere questo obiettivo significa cercare il contesto, prima che l’evento, significa
porre attenzione alla rete di relazioni che stringe insieme le cose nel mondo.
Il teleobiettivo viceversa
schiaccia il mondo, e dunque concentra lo spazio, individua, semplifica,
ritaglia il particolare dal generale, tende a ridurre tutto a metafora
fotografica.
In questo senso, dunque, la scelta
dell’obiettivo è di già una scelta di campo, e rappresenta una precisa volontà di
vedere il mondo in un certo modo tra i tanti possibili. Una scelta di valore, una
scelta etica.