Etica dell’obiettivo fotografico


Se partiamo dal presupposto che quello del fotografo è prima di tutto un gesto intenzionale allora è possibile elaborare una vera e propria etica dell’obiettivo fotografico, proprio in funzione del tipo di ottica con la quale il fotografo tenta di raccogliere l’immagine della natura.
L’obiettivo standard, il cinquanta millimetri, è niente altro che lo sguardo comune, la sua apertura corrisponde a quella del nostro vedere, non a caso lo si suggerisce per la street photography che ha la pretesa di essere immediata e occasionale, direttamente raccolta dall’impressione.
Il grandangolo, invece non sceglie e non seleziona, ma abbraccia, abbraccia tutto senza particolare distinzione, e dunque si presta a dare del soggetto una sensazione caotica, dispersa, diffusa, e di creare l’effetto del brulichio, della pluralità. Scegliere questo obiettivo significa cercare il contesto, prima che l’evento, significa porre attenzione alla rete di relazioni che stringe insieme le cose nel mondo.
Il teleobiettivo viceversa schiaccia il mondo, e dunque concentra lo spazio, individua, semplifica, ritaglia il particolare dal generale, tende a ridurre tutto a metafora fotografica.
In questo senso, dunque, la scelta dell’obiettivo è di già una scelta di campo, e rappresenta una precisa volontà di vedere il mondo in un certo modo tra i tanti possibili. Una scelta di valore, una scelta etica.



Leggere la luce


L’etimologia banale secondo cui la fotografia sarebbe prima di tutto scrittura con la luce copre e occulta un’altra verità meno evidente, e cioè che, come dice Federico Scianna, “fotografare non significa affatto scrivere con la luce come di solito si ripete, ma leggere ciò che con penna di luce il mondo scrive di sé”. Perché questa è effettivamente la condizione del fotografo, quella di cogliere con il suo sguardo prima che con l’obiettivo della macchina, ciò che la natura ha già di per sé “dipinto” con la luce, il fotografo dunque è prima di tutto un lettore di cose di luce, o un interprete, o forse un collezionista. E fare buona fotografia significa allora usare bene lo sguardo prima che la macchina.