Vere ombre

Se, come osserva Platone, l’immagine è una miscela di essere e di non essere, la fotografia espone tale contraddizione nel modo più alto possibile. Poiché ciò che si vede nell’immagine fotografica è veramente l’oggetto, pur essendo solo una sua rappresentazione.
La contraddizione non è risolta, è amplificata. Mentre nel disegno o nella pittura, l’oggetto reale è solo evocato dal pittore, qui invece la matita della natura, non evoca, ma mostra un’ombra come quella proiettata da un essere reale camminando sotto il sole.

Le due/tre piste


La ragion d’essere della fotografia come oggetto materiale, come cosa, può essere indagata da due fondamentali punti di vista: da un lato essa è legata alla dimensione ottica, e mette in gioco fattori legati al vedere, alla luce, alla prospettiva, alle dinamiche della visione in generale, al rapporto tra gli oggetti e la luminosità, e perfino ai misteri della luce miscela di onda e di corpuscoli. Dall’altra prospettiva invece, essa può essere studiata in quanto prodotto di un percorso chimico, perché almeno fino a pochi anni fa, la fotografia era proprio questo, un susseguirsi di scoperte di natura chimica intorno ad alcune sostanze reattive alla luce, in questo caso la storia della fotografia potrebbe essere tradotta in una storia della chimica, e i protagonisti sarebbero il bitume di Giudea, lo ioduro d’argento, i vapori di mercurio, l’iposolfito di sodio, i sali d’argento, il collodio, ecc. Oggi la storia chimica della fotografia si conserva solo nel momento della stampa, perché invece l’oggetto come tale appartiene piuttosto a una nuova dimensione, e quindi una nuova pista, alla dimensione del digitale, e quindi i protagonisti dell’oggetto materiale fotografia sono i pixel e le loro combinazioni.

Ciò che comunque nessuna mutazione può cancellare, ciò che le due/tre piste dimostrano con chiarezza, è che la fotografia è sempre tanto rappresentazione quanto oggetto. La sua natura inevitabilmente duplice che ne fa un ibrido molto problematico ma proprio per questo anche straordinariamente interessante da indagare.

La lettura della foto


Il tempo fermo della foto si dinamizza grazie all’atto della lettura, che si tratti di una singola foto quanto di una serie di immagini. Grazie al tempo narrativo che l’osservatore reinventa, ricostruendolo a suo piacimento l’immagine sembra rivivere il proprio tempo, ma anche altri tempi meno reali, quelli dell’immaginazione, della creatività, della fantasia…. Osservando la foto di un avvenimento,  l’osservatore cade in quel tempo, lo rianima, così come la pagina scritta, che è muta nel libro chiuso, si rianima ogni volta che qualcuno la legge.
Così per capire la fotografia è fondamentale, secondo me,  fare l’esperienza di rileggere il primo libro fotografico: The pencil of Nature di William Fox Talbot (1844), bellissimo esempio di “calotipo” cioè stampa su carta a partire da un negativo, elemento di progresso - ma ci vorrà tempo per capirlo - rispetto alla copia unica del dagherrotipo.  L’autore per dare maggiore rilievo a questo innovativo prodotto, soprattutto in funzione della concorrenza con la pittura, attribuisce l’onere del gesto artistico alla Natura stessa, è essa che attraverso la luce produce quelle immagini che si conservano.
Scrive lo stesso Fox Talbot a commento di una delle sue immagini, quella famosissima dell’uscio aperto con la scopa appoggiata, che “noi abbiamo nella scuola artistica olandese un precedente abbastanza autorevole per adottare come soggetti di rappresentazione scene di fatti quotidiani e familiari. Spesso l’occhio di un pittore si soffermerà là dove la gente comune non vede nulla di notevole.” Il fotografo dunque fin da subito è consapevole che il suo lavoro in aperta continuità, e dunque anche in competizione, con quella particolare arte pittorica che rientra nel campo del realismo, si dispone proprio all’incontro con il quotidiano.  L’oggetto banale, la scena comune, il particolare apparentemente privo di valore, che già veniva esaltato dalla pittura realista, appare enfatizzato dalla fotografia, con la differenza che verrà notata e sottolineata fin da subito, che la fotografia è in grado di riprodurre particolari che nessun pittore sarebbe in grado di replicare. Come arte realista la fotografia gode di una  innegabile superiorità. La superiorità che viene dal fatto che l’artista è la Natura stessa, gli altri, gli uomini, i pittori, sono solo dei volgari copiatori.
Ecco che la vecchia immagine dell’uscio socchiuso e della scopa appoggiata torna ancora oggi a parlare, per dire una certa presunzione, una certa aria di superiorità, quella che esprimono spesso coloro che nascono piccoli di fronte ai grandi.