Un libretto agile, conciso, senza tanti fronzoli, ma denso di consigli pratici, ecco cos'è "Oltre le regole " di Marco Tortato. Probabilmente ciò che si nota fin da subito è il fatto che i consigli non vengono dalla solita rimasticatura di manuali e di luoghi comuni ma direttamente dall'esperienza dell'autore, fotografo fine ed elegante soprattutto nel settore della fotografia di prodotto. Ma il suo sguardo qui non è limitato ad un particolare genere di fotografie, ma proprio all'atto del fotografare come tale, a partire dalla convinzione ampiamente condivisibile che le regole esistono prima di tutto per essere infrante, e che il lavoro del fotografo è un lavoro con la luce (e con le ombre ovviamente), non a caso egli esorta esplicitamente i suoi lettori ad essere letteralmente "ossessionati dalla luce". Gli altri consigli sono facilmente riassumibili: nulla esiste oltre l'inquadratura, il crop non è la soluzione, ai bordi dell'immagine accadono le peggiori nefandezze, non esiste fotografo pigro, la miglior dote per un fotografo è la pazienza, il ritratto è una danza. Ogni capitolo, introdotto da una vignetta, e accompagnato da un'immagine originale si snoda rapido, nel segno della chiarezza e dell'ironia, ed è arricchito da una batteria di esercizi che il lettore fotografo può realizzare per proprio conto, inaugurando così un percorso di formazione per certi aspetti simile a quello dell'autore. Perchè fotografare sembra spesso così facile ma è in realtà una pratica che richiede attenzione, dedizione, applicazione, e che impone di adottare un modo nuovo di guardare il mondo, di viverlo, di sentirlo. Questo libretto è certamente un passo nella direzione giusta.
Marco Tortato
Oltre le regole. Consigli semiseri per fare sul serio
Edizioni Emuse, 2018
pp. 103, € 15
La fotografia cos'è?
Fin dalla sua nascita la fotografia ha dovuto fare i conti con la pittura, della quale è stata considerata come una sorella minore da alcuni, o addirittura come la velenosa concorrente da altri. E fra questi c'era anche Baudelaire. Tuttavia, per quanto si sia discusso da allora, una cosa è certa, la fotografia non ha affatto annullato la pittura, forse ha contribuito a trasformarla e a liberarla dal peso della realtà ma di certo non ne ha impedito nè limitato l'esistenza.
Poi il confronto si è spostato, nel momento in cui è nato il cinema si è detto che la fotografia era destinta a scomparire, che la capacità di rappresentare il movimento reale rendeva obsoleta e misera l'immagine fotografica, così tristemente statica. Certo il cinema ha sollecitato fin da subito la riflessione ben più di quanto abbia fatto la fotografia, ma al contempo anche questo è evidente, non è riuscito affatto nell'intento di far venire meno il gesto fotografico.
Ora non c'è dubbio che la fotografia deve tener conto dell'esistenza del cinema, quando pretende di farsi narazione, sviluppo, percorso, e quindi l'esistenza del cinema non è indifferente rispetto alla natura della fotografia. Così oggi dobbiamo osservare il nuovo passaggio, quello che ha introdotto la tecnologia del video, cioè di un'immagine in movimento ma che si diffonde, o che almeno può diffondersi, in tempo reale: posso mostrare quel che accade in altro luogo del mondo, proprio mentre accade. Ne deve tener conto la grammatica cinematografica, ne deve tener conto anche quella fotografica. Deve cambiare il nostro rapporto con la fotografia, soprattutto con quella che ha la pretesa di raccontare storie, di mostrare la realtà come sviluppo, come successione di eventi reali. La fotografia del nostro tempo, non è pittura, non è cinema, non è video, resta da precisare esattamente cos'è.
Poi il confronto si è spostato, nel momento in cui è nato il cinema si è detto che la fotografia era destinta a scomparire, che la capacità di rappresentare il movimento reale rendeva obsoleta e misera l'immagine fotografica, così tristemente statica. Certo il cinema ha sollecitato fin da subito la riflessione ben più di quanto abbia fatto la fotografia, ma al contempo anche questo è evidente, non è riuscito affatto nell'intento di far venire meno il gesto fotografico.
Ora non c'è dubbio che la fotografia deve tener conto dell'esistenza del cinema, quando pretende di farsi narazione, sviluppo, percorso, e quindi l'esistenza del cinema non è indifferente rispetto alla natura della fotografia. Così oggi dobbiamo osservare il nuovo passaggio, quello che ha introdotto la tecnologia del video, cioè di un'immagine in movimento ma che si diffonde, o che almeno può diffondersi, in tempo reale: posso mostrare quel che accade in altro luogo del mondo, proprio mentre accade. Ne deve tener conto la grammatica cinematografica, ne deve tener conto anche quella fotografica. Deve cambiare il nostro rapporto con la fotografia, soprattutto con quella che ha la pretesa di raccontare storie, di mostrare la realtà come sviluppo, come successione di eventi reali. La fotografia del nostro tempo, non è pittura, non è cinema, non è video, resta da precisare esattamente cos'è.
Il peso della cosa
Se l'arte è astrazione della forma, la fotografia è eversiva, perchè spinge a focalizzare sempre sul caso singolo, suilla cosa non sulla sua essena. Il contenuto di traccia di cui la fotografia non può mai liberarsi, impone infatti questo riferimento alla cosa che c'è, come se si trattasse di una zavorra che impedisce all'immagine, alla forma di elevarsi dalla concreta e pesante realtà del mondo verso l'iperuranio delle ideee platoniche, delle essenze metafisiche, dei puri concetti.
Tuttavia, come nota benissimo il fotografo Robert Adams, di fronte all'immagine e in particolare al paesaggio, abbiamo a che fare sempre con tre verità: quella geografico spaziale - oppure la cosa singolarte, l'oggetto pesante della realtà -, quella autobiografica, cioè l'insieme delle ragioni esistenziali che portano il fotografo a quel determinato sguardo, e infinme quella metaforica che dipende tanto dall'immagine come tale quanto dallo sguardo di colui che vi si approccia, cioè dalla sua cultura, dalla sua storia, dalla sua sensibilità. Il gioco di queste tre verità rende per sua natura ambigua e sfuggente ogni fotografia, oppure, meglio, la rende più ricca, perchè più capace di comunicare a molti livelli, tranne quello metafisico, per il quale per quanto si sforzi si dimostra veramente poco adatta.
Tuttavia, come nota benissimo il fotografo Robert Adams, di fronte all'immagine e in particolare al paesaggio, abbiamo a che fare sempre con tre verità: quella geografico spaziale - oppure la cosa singolarte, l'oggetto pesante della realtà -, quella autobiografica, cioè l'insieme delle ragioni esistenziali che portano il fotografo a quel determinato sguardo, e infinme quella metaforica che dipende tanto dall'immagine come tale quanto dallo sguardo di colui che vi si approccia, cioè dalla sua cultura, dalla sua storia, dalla sua sensibilità. Il gioco di queste tre verità rende per sua natura ambigua e sfuggente ogni fotografia, oppure, meglio, la rende più ricca, perchè più capace di comunicare a molti livelli, tranne quello metafisico, per il quale per quanto si sforzi si dimostra veramente poco adatta.
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