Casualità e causalità


C’è nella fotografia un naturale contenuto di casualità: per quanto essa sia intenzionale, per quanto sia studiata, inquadrata, pensata dal fotografo, la natura riserva sempre un elemento di casualità, un punto, un frammento, una briciola, un soffio di vento, un’ombra improvvisa… in essa vi è sempre il colpo di dadi che va oltre, poco o tanto a ogni previsione, a ogni progetto, a ogni intenzione. Quelle pieghe del vestito, o della tovaglia, quella disposizione delle foglie, quelle onde… tutto ciò che la casualità  determina nel ritmo delle cose e della natura resta segnato nell’immagine fotografica e sporca, sposta, inquieta ogni intenzionalità.
Allo stesso tempo, tuttavia, la fotografia contiene un necessario rigore causale, in quanto traccia, il soggetto che viene colto dall’obbiettivo determina l’immagine, e vi lascia impresso un marchio temporale e spaziale: proprio in quel momento, proprio lì. E per quanto il fotografo cerchi con la sua immagine di garantire un elemento stabile, di continuità, per quanto cerchi di rappresentare l’anima di un luogo o di una persona, sempre in quell’immagine vi sarà qualcosa di niente affatto stabile, di occasionale, di casuale e insieme di necessario e necessariamente causato dal soggetto stesso.
In questo senso la fotografia è molto vicina alla realtà stessa e al suo mix indistricabile di causalità e casualità.  

Rinascimento fotografico?


Il destino della fotografia è quello di essere perennemente schiacciata fra due macigni difficilmente aggirabili: da un lato essa appare troppo reale rispetto alla pittura - ed è stato questo il suo primo confronto, per alcuni motivo di critica per altri motivo di orgoglio, quello che ha segnato la sua storia nel corso del XIX secolo -, dall’altra parte essa appare invece come troppo poco reale rispetto al cinema, oggi al video, e in questo confronto/scontro è contenuto invece il suo destino futuro. 

Combattuta tra un eccesso di realtà e un difetto di realtà la fotografia ha saputo finora trovare un proprio equilibrio, e una propria collocazione fra le attività immaginative dell’uomo, ma ci sono segnali inquietanti per il futuro, segnali che suggeriscono un passaggio della rappresentazione visuale verso la dimensione dell’immagine in movimento e il progressivo confinamento della fotografia in spazi di marginalità, ove le sparute minoranze ancora in grado di pensare l’immagine,  si confronteranno fra loro lamentandosi della scarsa capacità di incidere sull’opinione pubblica e sulla sensibilità collettiva.

È necessario affrontare il problema, è urgente che chi ancora ritiene che la fotografia possa essere una formidabile occasione di pensiero – di pensiero pensato, non di pancia ma di testa -  faccia fronte comune per un rinascimento fotografico.