Nel momento in cui fa apparizione il colore la bella logica della lettura viene stravolta. Non ho più di fronte a me dei sistemi di segni, tracce variabili di una articolazione binaria (il nero sul bianco, il bianco sul nero) ma mi trovo nella necessità di decifrare piuttosto le dinamiche dei pesi e delle quantità, dei rapporti variabili e reciproci fra i colori, delle aree di contrasto e di confine.
Mentre nel bianco e nero l’assenza di un codice codificato viene facilmente superata dalla nostra capacità di seguire le tracce e mettere in sequenza i segni che in fondo sono ridotti, appunto, al minimo possibile, il binario bianco e nero, nel colore è come se la nostra capacità di lettura venisse forzata attraverso un elevamento all’ennesima potenza. Un codice binario alla fine risulta abbastanza leggibile, ma se invece è costruito sulla sovrapposizione di cinque o sei dimensioni diventa inevitabilmente molto più difficile, oscuro, incomprensibile.
Di fronte alla difficoltà insormontabile il nostro occhio lettore compie, per lo più, la scelta più semplice, si accontenta di vedere e leggere, si accontenta di vedere e leggere solo il minimo del leggibile, spesso di fronte alla fotografia a colori vediamo e leggiamo solo un particolare: gli occhi verdi della ragazza afgana di McCurry, il contrasto campo giallo cielo azzurro nuvolette bianche dell’immagine di Fontana.