Fin dalla sua nascita la fotografia ha dovuto fare i conti con la pittura, della quale è stata considerata come una sorella minore da alcuni, o addirittura come la velenosa concorrente da altri. E fra questi c'era anche Baudelaire. Tuttavia, per quanto si sia discusso da allora, una cosa è certa, la fotografia non ha affatto annullato la pittura, forse ha contribuito a trasformarla e a liberarla dal peso della realtà ma di certo non ne ha impedito nè limitato l'esistenza.
Poi il confronto si è spostato, nel momento in cui è nato il cinema si è detto che la fotografia era destinta a scomparire, che la capacità di rappresentare il movimento reale rendeva obsoleta e misera l'immagine fotografica, così tristemente statica. Certo il cinema ha sollecitato fin da subito la riflessione ben più di quanto abbia fatto la fotografia, ma al contempo anche questo è evidente, non è riuscito affatto nell'intento di far venire meno il gesto fotografico.
Ora non c'è dubbio che la fotografia deve tener conto dell'esistenza del cinema, quando pretende di farsi narazione, sviluppo, percorso, e quindi l'esistenza del cinema non è indifferente rispetto alla natura della fotografia. Così oggi dobbiamo osservare il nuovo passaggio, quello che ha introdotto la tecnologia del video, cioè di un'immagine in movimento ma che si diffonde, o che almeno può diffondersi, in tempo reale: posso mostrare quel che accade in altro luogo del mondo, proprio mentre accade. Ne deve tener conto la grammatica cinematografica, ne deve tener conto anche quella fotografica. Deve cambiare il nostro rapporto con la fotografia, soprattutto con quella che ha la pretesa di raccontare storie, di mostrare la realtà come sviluppo, come successione di eventi reali. La fotografia del nostro tempo, non è pittura, non è cinema, non è video, resta da precisare esattamente cos'è.
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