Se l'arte è astrazione della forma, la fotografia è eversiva, perchè spinge a focalizzare sempre sul caso singolo, suilla cosa non sulla sua essena. Il contenuto di traccia di cui la fotografia non può mai liberarsi, impone infatti questo riferimento alla cosa che c'è, come se si trattasse di una zavorra che impedisce all'immagine, alla forma di elevarsi dalla concreta e pesante realtà del mondo verso l'iperuranio delle ideee platoniche, delle essenze metafisiche, dei puri concetti.
Tuttavia, come nota benissimo il fotografo Robert Adams, di fronte all'immagine e in particolare al paesaggio, abbiamo a che fare sempre con tre verità: quella geografico spaziale - oppure la cosa singolarte, l'oggetto pesante della realtà -, quella autobiografica, cioè l'insieme delle ragioni esistenziali che portano il fotografo a quel determinato sguardo, e infinme quella metaforica che dipende tanto dall'immagine come tale quanto dallo sguardo di colui che vi si approccia, cioè dalla sua cultura, dalla sua storia, dalla sua sensibilità. Il gioco di queste tre verità rende per sua natura ambigua e sfuggente ogni fotografia, oppure, meglio, la rende più ricca, perchè più capace di comunicare a molti livelli, tranne quello metafisico, per il quale per quanto si sforzi si dimostra veramente poco adatta.
... a meno che per "meta-fisico" non si intenda esattamente ciò a cui tende il "meta-forico". I termini chiave della metafisica non sono forse metafore talmente irrigidite (qualcuno direbbe "esauste") da sembrare "morte", "catacresi", credo che si dica? Anima, spirito, psiche, pneuma, atman ecc. sono modi diversi, in lingue diverse, di dire "respiro". L'intuizione è che "qualcosa", a cui non si può alludere che per metafora, renda vivente il vivente, qualcosa di non riducibile all'ingranaggio meccanico che il vivente appare essere (costituito da proteine, enzimi, vitamine e altre strutture la cui interazione reciproca ci illudiamo di "governare" p.e. matematicamente... se questa non è la vera, cattiva metafisica!). Si tratta allora (e l'arte in generale e la fotografia in particolare possono offrire il loro prezioso contributo in tale direzione) di "ricordare" che viviamo di metafore (la foresta di simboli di Baudelaire) e che queste alludono sempre ad alcunché... E siamo così certi che Platone c'entri poco? Se questo "qualcosa" fosse il punto all'infinito della prospettiva rinascimentale, figlia visibile della meditazione neoplatonica di Cusano, Ficino e Bruno, madre "tecnica" della moderna fotografia?
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