Molto più della pittura, la
fotografia ha la natura della “finestra”. Ora, deve essere chiaro, la finestra
è propriamente il cuore stesso della rappresentazione visiva: per rappresentare
infatti noi incorniciamo un pezzo di realtà, lo strappiamo dal magma in cui è preso
circoscrivendolo, lo separiamo dal tessuto di relazioni su cui insiste. Ogni
quadro è una finestra sul mondo, anche se questa sua natura è spesso coperta
dal simbolismo, dall’astrattismo, da codici non immediati, che hanno appunto lo
scopo di occultare la natura di finestra dell’opera d’arte. Fingendo di non avere
il mondo per oggetto, l’arte contemporanea può fingere appunto di non esser quella
finestra che invece è la sua più intima condizione. Una condizione che al fondo
persiste sempre, ed è sempre rintracciabile.
Nel caso della fotografia,
questa natura invece è esplicita, non è occultabile, è contenuta
necessariamente nella sua qualità di traccia (e insieme di icona, cioè di rappresentazione
somigliante del vero. L’opera fotografica è appunto quella che esibisce la
propria natura di finestra sul mondo, quella che non può nasconderla. La fotografia
non può uscire dalla cornice (che non ha).
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