Democratizzazione dell'immagine del mondo

La fotografia diffusa, sia che si tratti di fotografia familiare o di autoritratto o di foto ricordo, ha il compito sovrano di trasfigurare il tempo libero, o il tempo di festa, rendendolo monumentale
Ora,  non c'è chi non veda in questo gesto prima di tutto un'espressione di narcisismo spinto fino ai limiti dell'ossessione, forse per ragioni di compensazione, forse per necessità di riconoscimento, resta il fatto che la fotografia diffusa non ha un oggetto speciale, nè s'affanna a costruirlo, essa è diventata gesto comune di una massa sempre più vasta di persone  in sinergia con i social media che offrono un'apparente palcoscenico alle immagini così prodotte. 
La fotografia diffusa è il nostro modo attuale di rappresentare il mondo, cioè noi stessi. E' il modo di soddisfare un bisogno di rappresentazione che è sempre stato parte del modo umano di essere. Non possiamo stare nel nostro mondo senza rappresentarcelo, cioè senza mostrarlo a noi stessi, reciprocamente. E ciò significa anche trasformarlo in un processo di senso, in un archivio di figure attraverso le quali pensare il nostro soggiorno nel mondo.  
Da questo punto di vista la fotografia diffusa rappresenta uno straordinario allargamento della responsabilità: quel che prima apparteneva come compito storico solo ad una piccola élite intellettuale, oggi è responsabilità universale di grandi masse; ciò cui assistiamo, se lo leggiamo da un punto di vista positivo è certamente una forma di democratizzazione dell'immagine del mondo. Anche se, da un altro punto di vista, non possiamo fare a meno di sottolineare i pericoli contenuti in questo processo storico: mi limito ad elencarne due rapidamente. In primo luogo il venir meno della creatività individuale a tutto vantaggio di formule collettive cui si finisce per accodarsi obbedienti, si tratti di mode, o di pratiche commerciali, o di invenzioni momentaneamente veicolate dai mass media. Insomma c'è il rischio che la fotografia diffusa si traduca in una forma massiccia di omologazione e che quindi finisca per perdere ciò che di essenziale è in essa, ovvero appunto l'allargamento alle grandi masse del compito di leggere e dare senso al mondo. 
Il secondo pericolo che va segnalato è quello relativo al rapporto sempre più complesso con l'altra forma, quella della fotografia d'autore, che rischia di essere sopraffatta, neutralizzata, dalla fotografia diffusa. Ma se ciò avvenisse ( i segnali già ci sono), potremmo perdere quel contributo insostituibile che può venire soltanto dall'atto di creatività individuale, un atto che nessuna macchina, nessuna tecnologia, nessuna attività collaborativa, può surrogare o sostituire. 

Nessun commento:

Posta un commento