Lo scandalo dell'orrore (e di un falso)

Dice R. Barthes che la fotografia letterale,  cioè quella documentaristica del reportage "introduce allo scandalo dell'orrore, non all'orrore in sè". Ed è vero, perchè nessuna fotografia è mai totalmente trasparente: il suo essere traccia ne fa una prova credibile della realtà, ma non la realtà stessa. Anzi, come realtà la fotografia è un'altra cosa rispetto a ciò che mostra, è un pezzo di carta sensibile, è un foglio, è una lastra, è un cumulo di bit. 
Allora il lavoro del fotografico è sempre quello - di secondo livello diciamo - di introdurci allo "scandalo" dell'orrore, cioè alla reazione che l'orrore produce. Questo rende sensato chiedersi in che misura la fotografia (ma vale anche per il cinema, e oggi per la TV e i social media), trasformi la realtà in spettacolo. 
La risposta deve per forza essere articolata, e, da un lato, è negativa, se il senso è quello di una deformazione della realtà in senso parodistico: dobbiamo riconoscerlo la grande fotografia documentaristica ci ha mostrato ciò che realmente è accaduto in tante parti del mondo in questi anni, e l'immagine che commenta questa nota contiene in sè un valore critico decisivo, che potrebbe portare ad un movimento dell'opinione pubblica e quindi a un cambiamento della realtà stessa. Ma, dall'altro lato, la risposta è affermativa, il fotografico può effettivamente trasformare la realtà in spettacolo, nel senso  che la fotografia coglie della realtà proprio il suo lato teatrale, che non è una ridazione del reale umano ma una sua componente. Siamo esposti, siamo sulla scena: la fotografia coglie proprio questo aspetto decisivo della condizione umana.
Certo, anche qui è contenuto un rischio di cui bisogna essere consapevoli. E' appunto il rischio che nel gesto rappresentativo che restituisce il nostro essere esposti, cioè l'esigenza di teatralità che ci appartiene, si scivoli però in modo più o meno volontario, verso la trasformazione dell'orrore in un fatto estetico, per cui anche la morte, il sangue, la sofferenza, la violenza, la disperazione, sono lì, sono dentro l'immagine, ma l'immagine li riabilita per via delle sue qualità estetiche. E' possibile una bella fotografia di una scena di guerra? E' possibile una bella fotografia del corpo di un bambino morto annegato sulla spiaggia? Oppure, è possibile che la fotografia colga più il bel visino del bambino che le sbarre della gabbia in cui è rinchiuso? Perchè fa più effetto vedere un bambino dentro una gabbia, che non un adulto? C'è poco da fare, il dato estetico è parte del giudizio, che lo vogliamo o no. Proprio perchè la fotografia oltre che traccia è rappresentazione e come tale ha sempre a che fare con valori estetici. 
Tuttavia bisogna anche fare un'altra osservazione, e cioè che proprio per la sua costitutiva duplicità, la rappresentazione fotografica è sempre, insieme,  un fatto etico e un fatto estetico. Etico ed estetico: un connubio che deve essere ripensato e rilanciato. Insieme, non distinti. 
I fotografi che dimenticano uno dei due aspetti tradiscono la vera natura della fotografico. Solo tenendo insieme il dato estetico e quello etico la fotografia può farci davvero amare la vita, e dunque, proprio per questo può risvegliare in noi una coscienza critica assopita di fronte allo scandalo dell'orrore. 

PS. A proposito, la foto d'apertura che abbiamo visto ovunque in questi giorni, è un falso, è stata scattata  il 10 giugno 2018, a Dallas durante una manifestazione di protesta contro la pratica dell'amministrazione Trump di separare le famiglie di migranti irregolari. Questo apre la questione del rapporto tra fotografia e verità. Ne riparleremo.

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