Oltre la cronologia


Dice benissimo Geoff Dyer: “In fotografia non esiste un «frattempo». C’era solo quell’istante e adesso c’è quest’altro istante e nel mezzo non c’è niente. La fotografia, in un certo senso, è la negazione della cronologia.” (L’infinito istante). D’altra parte la fotografia ha questa caratteristica di essere sempre un passo indietro, non può che ripetere un ossessivo “è stato”.
Rispetto alla pittura la differenza è decisiva: ha ragione Rodin quando afferma che “è l’artista che è veritiero ed è la fotografia che mente”, certo essa pretende di fermare il tempo immobilizzandolo in un istante, l’istante che “è stato”, ma il tempo non si ferma, e la sua pretesa diventa parodia, pura illusione. E viceversa il pittore, che mente per principio, non ferma nulla, anzi se è un grande pittore, riesce a rappresentare il flusso inarrestabile, del tempo proprio perché non ferma nulla, perché nell’opera pittorica nessun istante è stato strappato al processo. Aggiunge Rodin: “Perché nella realtà il tempo non si ferma: e se l’artista riesce a produrre l’impressione del gesto che si compie in diversi istanti, la sua opera è certamente molto meno convenzionale dell’immagine scientifica [i. e. fotografica] in cui il tempo è bruscamente sospeso.”
Per dirla un po’ in termini heideggeriani, l’artista con la sua capacità di aprire, di inaugurare mondi di far emergere zone d’essere che ancora non sono del tutto presenti, si sporge piuttosto sul futuro che sul passato. Certo non può pretendere di annullare il processo vitale sezionandolo in frammenti irrelati.  Il fotografo invece è destinato proprio a questo lavoro di frantumazione: la cronologia nel senso del processo organico di sviluppo che è la nostra idea comune del tempo, viene messa in crisi dalla polverizzazione degli istanti che si fissano sull’immagine fotografica. Il fotografo magari crede di introdurre in questo modo una variante nel processo del tempo, in realtà non fa altro che evidenziarne, enfatizzarne una componente fondamentale, la ripetizione.

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