Vedere o guardare


La fotografia ci mette di fronte alla distinzione tra vedere e guardare: tra la funzione visiva, che appartiene alla naturale percezione del mondo e per cui vediamo le cose che ci circondano, che tocchiamo, che usiamo; e l’atto intenzionale di inquadrare un pezzo di mondo e trasformarlo in immagine. La fotografia è la materializzazione del nostro guardare.
In quanto inquadramento, essa continua a ribadire non solo l’immagine guardata, ma anche lo sguardo che l’ha fermata, essa è memoria di un pezzo di realtà nel suo processo, quanto quella di un atto intenzionale, uno sguardo che proprio quella realtà ha voluto fissare.
Di fronte a una  fotografia, dunque, mi trovo a fare esperienza di una duplicità inestricabile ma distinta, quella del tratto di realtà e di spazio-tempo che ho sottratto al processo, e quella dello sguardo – di un certo “guardare” – che è implicito in quella immagine. I due lati dell’immagine possono essere indagati distintamente senza poter, ovviamente, essere mai separati l’uno dall’altro.
La dimensione fisiologica del vedere, non è diversa in fondo da quella meccanica dell’obbiettivo fotografico, esso “vede” in modo automatico, neutrale, ovunque la macchina venga girata l’obbiettivo continua a vedere quella parte del mondo che la sua “fisiologia”, ovvero la struttura ottica e meccanica, gli consente di vedere. Ma è soltanto l’occhio del fotografo che sa guardare, anche la macchina più sofisticata che oggi sa riconoscere la presenza di un volto o di un paesaggio, non sarà mai in grado di raccontare la solitudine di un paesaggio, la felicità di un sorriso, ecc.

Scrive Augusto Pieroni che “La fotografia non afferra il mondo, lo dà a vedere” (Leggere la fotografia, 35). È così, ma cosa vuol dire “dare a vedere”. Posso dire di osservare compiutamente una immagine solo quando la mia osservazione non si limita alla parte esposta, superficiale, visibile, ma contempla anche la parte invisibile. Il mondo si dà a vedere nel momento in cui afferro ciò che in esso non si vede. Vedo correttamente (cioè in un modo non superficiale ed esteriore) solo se vedo anche l’invisibile che ogni immagine porta con sé. Ugualmente posso dire della fotografia, essa è davvero riuscita solo se mette in luce anche una parte invisibile. Altrimenti è un’immagine morta. Di pura superficie.

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