Sia la pittura che la fotografia sono bidimensionali mentre
la realtà è tridimensionale. Entrambe da questo punto di vista mentono. Eppure,
nella pittura, questo è certo, non c’è mai nulla di più di ciò che il pittore
vi ha messo. Sappiamo, vedendo il cavallo di lato che esso ha solo due gambe,
che l’altra parte del cavallo non la vediamo non perché è nascosta alla vista
ma semplicemente perché non c’è, e deve essere ricostruita, a noi piacendo, dalla
nostra immaginazione generosa. Nessuno l’ha disegnata. Nella fotografia, invece,
c’è sempre molto più di ciò che appare a prima vista e se vedo solo due ruote
dell’auto in corsa so che dall’altre pare ce ne sono altre due. Nella pittura
il numero dei segni è finito, si potrebbero calcolare, sono tantissimi, certo,
ma sono comunque un numero finito. Nella fotografia il numero delle tracce è
infinito perché non dipende dalla trame dei segni che sono quasi infiniti,
almeno fino alla minima visibilità del supporto (chimico o elettronico), ma
dipende altresì dalla certezza che dietro l’immediato visibile c’è molto di
più, c’è tutto il reale, tutto il mondo da cui quella scena è stata ritagliata.
Dietro la sedia di Van Gogh non c’è che
la tela su cui è dipinto. Dietro la fotografia di una sedia c’è un intero
mondo. Non lo vedo ma so che è lì. O almeno c’è stato.
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