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Sul piano d’immanenza


La fotografia lavora sul piano d’immanenza. Nel senso che, diversamente dalle altre forme di rappresentazione prive di traccia, essa non allude ad alcuna trascendenza. La sedia e i girasoli di Van Gogh sono – forse – una sedia su cui sedeva nella sua stanzetta,  e dei girasoli che egli ha visto un giorno, ma sicuramente  sono “la sedia” e i “girasoli”, essenze, idee, astrazioni, segni universali, estrinati ad andare ben oltre quegli oggetti quelle cose determinate che ne sono state il punto di partenza un giorno lontano. Il muratore di Sander invece è proprio quello, individualità unica e particolare, fermata in un attimo ormai così lontano – il secolo scorso – per cui sappiamo che certamente esso non esiste più. Certo sappiamo altrettanto bene che tale immagine può a sua volta andare oltre se stessa, alludere a dei modelli, rifarsi a delle idealità e a delle ideologie, ma questo avviene dopo, il punto di partenza è sempre il piano d’immanenza.
La fotografia in questo senso ha sempre a che fare con l'individualità, non trascende mai il proprio oggetto, non lo trasforma in un universale. Il suo contenuto di “traccia” la àncora al suolo materiale delle cose che sono fin che sono, fin che il Processo non le travolge e trasforma.

Infinite tracce


Sia la pittura che la fotografia sono bidimensionali mentre la realtà è tridimensionale. Entrambe da questo punto di vista mentono. Eppure, nella pittura, questo è certo, non c’è mai nulla di più di ciò che il pittore vi ha messo. Sappiamo, vedendo il cavallo di lato che esso ha solo due gambe, che l’altra parte del cavallo non la vediamo non perché è nascosta alla vista ma semplicemente perché non c’è, e deve essere ricostruita, a noi piacendo, dalla nostra immaginazione generosa. Nessuno l’ha disegnata. Nella fotografia, invece, c’è sempre molto più di ciò che appare a prima vista e se vedo solo due ruote dell’auto in corsa so che dall’altre pare ce ne sono altre due. Nella pittura il numero dei segni è finito, si potrebbero calcolare, sono tantissimi, certo, ma sono comunque un numero finito. Nella fotografia il numero delle tracce è infinito perché non dipende dalla trame dei segni che sono quasi infiniti, almeno fino alla minima visibilità del supporto (chimico o elettronico), ma dipende altresì dalla certezza che dietro l’immediato visibile c’è molto di più, c’è tutto il reale, tutto il mondo da cui quella scena è stata ritagliata. Dietro la sedia di Van Gogh non c’è  che la tela su cui è dipinto. Dietro la fotografia di una sedia c’è un intero mondo. Non lo vedo ma so che è lì. O almeno c’è stato.