Per definizione la fotografia è un'opera riproducibile, non possiede dunque l'aura dell'unicità che appartiene invece di diritto all'opera d'arte.
Anche se l'arte contemporanea si è impossessata di tutti gli strumenti tecnologici della comunicazione e si manifesta sempre più spesso nella ripetizione di eventi, happening, situazioni, installazioni e quindi anch'essa sta via via perdendo - anche se lentamente perchè c'è la resistenza del Museo - l'aura dell'unicità.
Il disegno, la pittura, d'altra parte, è una aggiunta progressiva verso una meta sconosciuta, si pensi solo al "Capolavoro sconosciuto" di Balzac, che rappresenta perfettamente l'interminabile percorso che l'artista con la sua opera e con la sua vita compie verso un compimento, una realizzazione, che appare sempre incompleta e perfino impossibile. La fotografia, al contrario, è sottrazione dall'intero, inquadratura, porzione, tranche. L'atto fotografico strappa un frammento dall'intero e lo eleva ad opera conclusa e insieme destinata a ripetersi: differenza e ripetizione insieme.
Da qualche parte H. Cartier Bresson dice opportunamente che la fotografia è una reazione immediata mentre il disegno è piuttosto una meditazione.
In questo senso proviamo ad osservare la differenza tra il gesto in pittura - teatrale, artefatto, congelato in un movimento impossibile: la mano di Napoleone a cavallo, non ha un prima o un dopo, è celebrazione di se stessa; e il gesto in fotografia che - almeno quando non sia pura imitazione della pittura, come in molta fotografia dell'800 - è il gesto colto nell'attimo, non congelato ma in un equilibrio precario: il miliziano di Capa colpito a morte. Sta per cadere, c'è un prima e un dopo, s'intuiscono. Frammento di una storia, fotogramma di un'intera esistenza che quell'immagine non può non rievocare.
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