La fotografia mette in imbarazzo la metafisica e tutte le sue belle certezze. Perchè la sua materia sono le apparenze, ma attraverso la fotografia l'apparenza diventa sostanza, e allo stesso tempo anche il contrario: la materia visibile diventa apparenza.
La fotografia, con delicatezza e con gusto, mostra proprio questo passaggio, mostra cioè come la distinzione classica tra realtà e apparenza, tra cosa in sè e fenomeno, sia insufficiente, mancante, debole. E come invece l'uomo abbia sempre a che fare con il movimento, il passaggio, la pulsazione della materia visibile che diventa figura e della figura che si fa traccia, indice, di una realtà visibile. Il nostro rapporto con la materia pesante della realtà, infatti, è sempre mediato da forme di rappresentazione e di significazione, tanto quanto ogni forma di rappresentazione e di significazione, immagini, linguaggi, ha senso in quanto emerge da una realtà materiale visibile. La fotografia sembra volersi intallare proprio in quella terra di mezzo che è il movimento dall'uno all'altro momento, tra la realtà visibile e la sua immagine.
Ciò che tuttavia resta da chiarire, è proprio ciò che è racchiuso nella parola "visibile", perchè la fotografia è traccia sempre del visibile, è il suo destino di scrittura della luce, e quindi il suo vero problema "metafisico" è proprio fare i conti con l'invisibile che ogni visibile si porta addosso.
Chi volesse sul serio comprendere la fotografia dovrebbe farsi questa domanda: in che modo la fotografia trascina con sè l'invisibile? Purtroppo la risposta non è semplice.
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