La fortuna del fotografo è che il mondo gli si offre.
Pronto. Che il mondo è lì. La fotografia è un’ontologia molto saggia, perché
dice l’esperienza, al di là di ogni scetticismo, che il mondo è lì, che il
mondo c’è. E che noi siamo nel mondo.
Il fotografo si pone come testimone informato dei fatti, i
fatti sono proprio quei frammenti di esistenza e di mondo che egli ritaglia dal
flusso del tempo. Tuttavia, egli è anche la prova che tutto il nostro mondo, il
mondo visibile è allo stesso tempo e nella stessa misura anche un mondo invisibile. O meglio: che l’invisibile
si innesta nel visibile, che ciò che vediamo, percepiamo, ciò di cui siamo testimoni
attraverso le immagini che realizziamo, tracce del reale, contiene in sé anche
un altro lato non visibile, come accade ad ogni oggetto, ma anche ad ogni
forma, ad ogni movimento, ad ogni percezione come ad ogni immaginazione. Ogni
luce ha la sua ombra. Il fotografo è maestro della luce e quindi anche
dell’ombra. La saggia ontologia del fotografo non è dunque un materialismo
gretto, ma è piuttosto una testimonianza complessa della realtà intesa come un
impasto di percezione di sguardo, di visibile e di invisibile, di luce e di
ombra.
Nessun commento:
Posta un commento